Alla fine della nostra vita non conteranno le nostre prestazioni e le
opere compiute. Non ci verrà chiesto se eravamo cattolici o protestanti
o cos’altro. Le testimonianze di esperienze di pre-morte ci dicono che
prima di tutto, e soprattutto, dovremo chiederci quanto abbiamo amato.
Nulla è permanente, niente è duraturo ma questo è proprio ciò che noi
esseri umani non riusciamo ad accettare.
Percorrendo un cammino esoterico, cominciamo improvvisamente a cogliere la fugacità e
ci rendiamo fulmineamente conto di quanto ci aggrappiamo alle cose,
inseguiamo idee, siamo tormentati da paure. Ci accorgiamo dei paraocchi
che indossiamo nella nostra vita. Sono convinto che noi esseri umani ci
evolveremo fino al punto di non temere più la morte ma di rallegrarci in
vista dell’esistenza successiva. Riconosceremo nella morte, la Grande
Trasformatrice e le daremo il benvenuto. Gli alberi fioriscono, le
foglie cadono, le stagioni vanno e vengono. Dai rifiuti rinasce la vita.
Senza la morte e la distruzione non ci potrebbe essere nuova vita.
Il vero miracolo della vita è la sua continua trasformazione. Nascere,
vivere e morire costituiscono la perfezione della vita. Il paradiso non è
un’esistenza statica che raggiungeremo chissà quando in un lontano
futuro. Paradiso è sperimentare e accettare la perfezione di questa
danza divina di nascite e morti, come la vita stessa. Il nostro ego si
oppone, usando ogni trucco. Questo “io”, per quanto ridicolo a volte
possa sembrare, vorrebbe vivere in eterno; non ci si può aspettare che
l’ego rinunci di buon grado al proprio predominio. Nella misura in cui
muore il nostro piccolo io, questo aggregato di processi psichici,
pauroso, disperato, aggressivo, opportunistico, manipolante e troppo di
rado gioioso, si sviluppano di pari passo la fiducia, la vera gioia e
una vera speranza. Ma evidentemente non ci interessano affatto
l’evoluzione del principio divino, lo sviluppo dell’Universo, la
molteplicità delle possibilità. Ci interessano solo “io”e “mio”.